Domenica
delle Palme e della Passione del Signore - 5 aprile 2020
La liturgia di oggi ci propone
l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, acclamato Re e Messia, e poi il racconto
dell'Ultima Cena, della cattura nel Getsemani, del giudizio davanti al sommo
sacerdote e a Pilato e infine della crocifissione di Gesù, fino alla sepoltura.
È la Domenica delle Palme e della Passione del Signore, che ci introduce alla
Settimana Santa e più specificatamente al Triduo Pasquale, che vivremo in
questa settimana. I tre giorni del Triduo Santo sono venerdì, sabato e
domenica. Venerdì, primo giorno del Triduo, che comincia, secondo la tradizione
liturgica, con la messa in Coena Domini del giovedì sera, si fa memoria della
passione e morte del Signore. Sabato, giorno a-liturgico per eccellenza, si
vive con Maria il silenzio e l'attesa della resurrezione. Domenica si gioisce e
si festeggia la vittoria di Cristo sulla morte, che si celebra già nella notte
tra il sabato e la domenica con la grande Veglia Pasquale. Gesù si fa solidale
con noi nella passione e morte (venerdì), nell'attesa del sepolcro (sabato), e
ci rende partecipi della sua resurrezione e della sua vita nuova (domenica).
Mi fermo un attimo a riflettere su
due scene di questo immenso dipinto che il Vangelo di oggi rappresenta. La
prima scena è ambientata in un luogo chiamato Getsemani, al di là del torrente
Cedron, dove il Monte degli Ulivi comincia a salire. Qui Gesù vive un momento
drammatico di lotta interiore, tanto che, ci dice l'evangelista Luca, arriva
perfino a sudare sangue (Lc 22, 44). "Cominciò a provare tristezza e angoscia.
E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte»" (Mt 26, 37-38).
Gesù, Figlio di Dio, si è fatto talmente solidale all'uomo da provare
sentimenti di tristezza e angoscia di fronte al dolore e alla morte. La sua
coscienza umana lotta con la morte: "Padre mio, se è possibile, passi da
me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (v. 39). La sua
volontà si fa una con quella del Padre e si sottomette ad essa. Il commento più
bello a questa scena lo riporta S.Paolo nella lettera ai Filippesi:
"Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un
privilegio l'essere come Dio, ma… umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e a una morte di croce" (Fil 2, 6.8).
La seconda scena si svolge nel luogo
detto Golgota, appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Gesù è già stato
innalzato sulla croce. Accanto a lui due ladroni, uno a destra e uno a
sinistra. Verso le tre del pomeriggio, dopo diverse ore che si trova sulla
croce, insultato e deriso da coloro che stanno a guardare, Gesù grida a gran
voce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46).
L'evangelista riporta perfino le parole stesse di Gesù, pronunciate in
aramaico, seguite dalla traduzione. Possono sembrare parole di disperazione. In
realtà sono l'inizio del Salmo 22. Certamente esprimono sconcerto e smarrimento
di fronte alla sofferenza e all'assedio dei malvagi, tuttavia il salmo non si
ferma a questo, ma prosegue con un atto di affidamento e di lode al Signore,
che ascolta e salva i suoi figli. Il salmo si conclude con queste parole:
"E io vivrò per Lui, Lo servirà la mia discendenza" (vv. 30-31). Dopo
questo atto di affidamento, Gesù di nuovo grida a gran voce ed emette lo
spirito (Mt 27, 50). Qui la morte di Gesù differisce da quella di tutti gli
altri uomini: è lui che decide quando è il momento di spirare. Tutto è
compiuto. Ora può consegnare lo spirito nelle mani del Padre.
Ancora una missione lo aspetta:
scendere negli Inferi per liberare tutti gli uomini schiavi della morte.
L'iconografia orientale ci consegna l'immagine di Gesù che, dopo aver
frantumato le porte degli Inferi, prende per mano Adamo ed Eva, e con loro
tutta l'umanità, per portarli in Paradiso. La morte ha ingoiato un boccone
succulento, pensando di farne la sua preda, ma questa è stata la sua fine.
Il Signore vi dia pace!
IL VOSTRO PARROCO